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A Palazzo Bonaparte di Roma, una grande mostra su Vincent van Gogh | ARTE

L’opera del grande pittore olandese è parte della nostra cultura figurativa. Artista carico di furore creativo e di aspri rapporti esistenziali rivive nelle oltre cinquanta opere in mostra.




Vincent van Gogh (1853-1890), è nato a Goot Zunder, un piccolo paese del Brabande, Olanda, ed ebbe una vita intensa e piena di vicissitudini, carico com’era di un grande e sofferto talento artistico.


Diede alla Storia dell’Arte una originale e complessa figurazione, un’immagine forte e pregnante con energiche soluzioni segniche e cromatiche.

Ebbe anche tanto fervore negli studi di teologia, fino alla vocazione di voler essere un predicatore.

La pittura che esprime van Gogh non è una riproduzione del reale, di ciò che vede nella natura e nelle sue molteplici forme. Dal reale cerca di evadere , e da visionario cerca la sua immagine, che appare come lui la sente: sofferta, sfuggente, inquietante, fortemente espressiva, al punto di turbare la sua precaria e sensibile serenità.

Il sole in cielo è un cerchio infuocato, gira come una ruota di carro, gli ulivi come braccia contorte, attorte, i cipressi sono fiamme appuntite verso il cielo, le stelle grandi e roteanti. Dopo anni di studi e incertezze e con sentimenti contrapposti giunge ai migliori risultati, e con sofferenze esistenziali scopre il valore del suo lavoro.

Il disegno e la pittura sono gli elementi del suo messaggio rivolto alla natura e alla fratellanza umana. Testimonia il lavoro e la fatica di vivere, sente il conforto della preghiera, la sua immagine esemplare e rassicurante è quella di Millet.

La sua pittura, ora, si affolla con rapidità di volti, luoghi, fiori, campi di grano, barche, architetture di case e di chiese. I colori sono forti, caldi e violenti, come il gesto che li compone; sulla tela restano le tracce delle sue pennellate, energiche e dense di pasta colorata: sono i blu scuri che precipitano nel nero, il giallo accecante dei campo di grano, la notte blu cobalto, vasta, lontana, siderea.

Fantastico e un po’ inquietante, un generico “Caffè di notte”; si attardano gli avventori, la strada già quasi deserta riflette un cielo di stelle che sono grandi e lontane, fulgide e roteanti, fissate nel cielo della notte silente.



Un’opera molto significativa, il luogo intimo dove raccogliere le sue poche cose e i suoi molteplici pensieri, è la “Camera da letto ad Arles”.


Una camera che identifica pienamente il luogo, un letto come un trono, duro e massiccio, pochi vestiti, parecchi quadri, due sedie forti, impagliate e anch’esse dure, come tagliate con l’accetta. In tutto l’arredo nessuna eleganza, niente di superfluo, inutile, gli elementi dell’arredo si dichiarano subito per quelli che sono; la luce è forte ed è per tutto ciò che appare, nessuna penombra per ammorbidire o esaltare il rilievo.

La stanza praticamente appare vuota, ma piena della sua presenza spirituale, dei suoi fiati disperati, dal baluginio dei suoi riflessi rossi, dei suoi pensieri, della sua anima che vuole essere tragica, e che tragica sarà, Vincent.








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