Dove va il Teatro? | Editoriale a cura di Mario Mattia Giorgetti
Ogni volta che un teatro si chiude, è una ferita inferta alla città in cui si ubica.
E sorge in noi una domanda. Come è possibile che un teatro in vita da tanti anni ora finisca la sua attività per farsi edificio di commercio?

A chi imputare la causa? Al pubblico che deserta il teatro? Agli organi istituzionali che gli voltano le spalle? Al sopravvento di altri mezzi di comunicazione? A voi la risposta.
Noi, però, sappiamo che un teatro è uno spazio che permette alla gente di incontrasi.
Sappiamo che là dentro si celebra un rito tra attori che operano dal vivo e il pubblico che partecipa. Sappiamo che là dentro è una fucina di pensiero, di crescita culturale.
Sappiamo che è un punto di esistenza, uscire dalla solitudine in cui la vita quotidiana spesso ci relega. Sappiamo che in quel teatro si genera economia, si dà lavoro, sia artistico, sia tecnico, sia amministrativo, sia organizzativo.
E se quel teatro viene chiuso tutto questo si perde. E la colpa a chi la diamo?
Facciamo velocemente un bilancio di teatri chiusi in questo ultimo scorcio di secolo.
A Milano si è chiuso l’Olimpia in largo Cairoli, si è chiuso il Teatro Odeon e il teatro Nuovo in pieno centro, si è chiuso il Sant’Erasmo, il teatro Convegno, il teatro Smeraldo si è chiuso, si è fatto sparire il teatro Quartiere che era un tendone, il Teatro di Palazzo Durini, il teatro San Marco, tutti chiusi. Si sono tenuti chiusi per anni e anni il Teatro Lirico, il Teatro Gerolamo.
A Milano l’attività commerciale, di consumo, ha preso il posto dei teatri. E gli Enti pubblici, le Associazioni culturali, i privati supini hanno chinato la testa, in silenzio.
Stessa cosa a Roma.
Intanto, centinaia di lavoratori dello spettacolo sono a spasso. Non solo si è fatto un danno culturale, ma anche occupazionale. Eppure Milano si presenta come modello di città europea.
A Roma, il Teatro Eliseo e il Piccolo Eliseo sono chiusi, il teatro Colosseo si è chiuso,
il Teatro Valle, il teatro dell’Angelo, il teatro delle Arti, il teatro Centrale, il teatro dell’Orologio, e altri di cui mi sfuggono i nomi sono chiusi.
Restiamo solo in queste due città, Roma e Milano, ma sarebbe interessante fare un censimento su tutto il territorio nazionale. Un brivido di vergogna ci assale.
Possibile che sia consentito tutto questo?
Non si è sollevato neppure una protesta da parte dei lavoratori dello spettacolo. Dei sindacati. Ammesso che ci siano. Del pubblico.
Ci stringe il cuore di fronte a questo panorama di decadimento, di indifferenza, di menefreghismo. E uno si domanda : “Ma dove va il teatro?”
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