ISABELLA SALVETTI: narrazioni pure e non situazioni artefatte
Aggiornamento: 14 nov 2021
ISABELLA SALVETTI: dalle collaborazioni con grandi registi italiani e produttori stranieri, alla sua visione cinematografica, nella quale predilige la purezza delle narrazioni e non le situazioni artefatte.
In questa intervista emozionale, la regista, scrittrice e produttrice italiana, Isabella Salvetti, apprezzata e nota anche all’estero, si racconta attraverso quello che è il suo modo di vedere la recitazione e la stesura di una sceneggiatura, riuscendo a cogliere le varie sfaccettature dell’animo umano, dalle più serene alle drammatiche, conferendo loro, quella “leggerezza” di un sorriso.

Il suo impegno da regista lo ha intrapreso collaborando, tra i tanti, con colleghi come Veronesi e Salemme. Cosa ricorda di quegli anni tra studio e periodo da aiuto regista e quanto è stato formante per lei?
Ciao a tutti; dunque io ho collaborato alla scrittura del soggetto del film Manuale d’amore di Veronesi e poi lo stesso stava per produrre il mio primo lungometraggio( parliamo di diversi anni fa), che alla fine per motivi burocratici interni alla Rai, si sospese. Con Salemme ho fatto il secondo aiuto regista per il film, Volesse il cielo e poi anche per altri registi tra cui Roberto Cimpanelli, ricordo che all’epoca collaborai anche con Francesco Nuti, prima che stesse male.
Il set, secondo me è decisamente la Scuola, per chi vuole fare regia o cominciare a lavorare all’interno del set. Esso è utile per capire quelli che sono i meccanismi, poiché non è solo una questione di scrittura o di pura regia ma è anche una questione di riuscire a capire come la macchina si muove in determinati contesti.
Per cui di quel periodo ricordo dei grandi momenti formativi, partecipando alla realizzazione di film e stando all’interno di set straordinari. Tra le tante cose, mi piace ricordare che, mi laureai in Cinematografia, alla Sapienza di Roma, un percorso certamente più teorico che pratico, poi fui presa al prestigiosissimo Istituto americano (American Film Institute di Los Angeles), da dove, ricordiamo si è formato ed è uscito David Linch. Lì feci i primi mesi di Master e non i due anni come da iscrizione, perché poi andai a lavorare per il direttore di quell’istituto americano, che era tra l’altro il produttore di Misery non deve morire, quindi la mia esperienza è stata molto intensa, anche dal punto di vista di studio. Poi sono stata anche a Londra, dove feci un corso di regia con Stephen Frears, che fu molto utile.

Che sguardo e che colori ha il mondo cinematografico, visto da una donna regista?
Il discorso della donna regista o dell’uomo regista potrebbe essere fittizio, perché penso che un regista riporti il suo vissuto, anche emotivo, in quello che va a raccontare. Per cui è chiaro che, nella donna regista ci sarà più un elemento di maternità, che l’uomo può non avere, o come ha vissuto e vive costantemente il suo emotivo che, però ripeto, potrebbe essere anche analogo a quello di un uomo, non c’è necessariamente tutta questa distinzione. Quello che noto è che, spesso i maschi hanno di certo uno sguardo più sensibile, ma altresì più logico/analitico, che spesso si riversa sulla sceneggiatura di cui sono autori, ed essa è una sorta di fabbricato artigianale in cui devi essere estremamente preciso e puntuale, non c’è nulla di quelli che potremmo chiamare “voli pindarici”. Ovviamente esiste la creatività, però ad essa si assommano delle regole ben precise da mantenere, ci sono atti da rispettare, ci sono minuti in cui devono accadere determinate cose che, se le fai accadere troppo tardi, perdi l’attrazione del pubblico. Esistono dei meccanismi da rispettare e in questo devo dire che, a volte mi è capitato per mia esperienza personale, di vedere sceneggiature e registi che spaccano il minuto su quello che viene richiesto, come legge strategica anche per farla funzionare. Ripeto, lo sguardo dipende da ciò che hai vissuto, per quanto mi riguarda, ho trascorso un’infanzia molto a contatto con la natura, con le emozioni e le empatie autentiche e di questo ringrazio anche la mia famiglia. Per me, anche nei premi che ho vinto, c’è molto dell’autenticità che vado a raccontare. Mi piace la purezza narrativa e non le situazioni artefatte.

Nel 2014 ha fondato la Queen Films, con la quale ha scritto, diretto e i cortometraggi premiati sia a livello nazionale che internazionale, Due piedi sinistri(2016) e Luce e me (del 2020). Entrambi con dei messaggi importanti, cosa rappresentano per lei, ce ne vorrebbe parlare?
Sì, nel 2014 ho fondato la Queen films, che in realtà ha preso l’eredità della Lea Films, con cui ho diretto altri cortometraggi, andati tra l’altro molto bene. Certo che con questi ultimi due (Due piedi sinistri e Luce e me) ho toccato i vertici tra i festival più importanti che ci sono. Per quanto mi riguarda, questi lavori sono l’espressione di un percorso che, mi ha portato a capire che il mio genere è proprio quello della Commedia dai temi sociali che, pur essendo piuttosto impegnativi, li affronto nel modo più leggero, il che non significa superficiale, ma indica la possibilità di far giungere i messaggi a tutto il pubblico. Penso inoltre che, tematiche importanti, possono benissimo essere affrontate con un sorriso, senza conferire ulteriore pesantezza. Per me questi due lavori, sono la rappresentazione di un traguardo raggiunto e di aver capito esattamente qual è il mio stile e il mio genere.
Quali sono i suoi progetti per il futuro, a cui sta lavorando? Quali lati dell’anima le piacerebbe sondare?
A novembre girerò un altro film, per cui una parte delle tematiche dell’anima che mi piacerebbe sondare, che è stata per me molto vissuta anche nell’infanzia, è il rapporto che ognuno di noi ha con se stesso nella solitudine, ma non come dimensione negativa, bensì come elemento essenziale per ritrovarsi anche a contatto con la natura. Pertanto a novembre girerò una storia, in cui non ci sono più solo i bambini, ma sarà presente una coppia di anziani, per il momento posso dire solo questo, cioè che ci permetterà di entrare dentro a dei meccanismi di rapporto e di emozioni molto intense.
Un altro lavoro che, spero presto di poter realizzare, è quello legato alla collaborazione della stesura di una sceneggiatura americana, tratta da un libro di un’autrice canadese. Questo film si dovrà girare, metà a Toronto e metà in Italia e quindi sto seguendo con questo produttore della Columbia University e con una sceneggiatrice molto brava di New York, la realizzazione di questa sceneggiatura. Quindi anche qui c’è tutto uno sfondo importante di stati emotivi, legati al rapporto tra un padre anziano e la figlia, inoltre è presente anche quello che è il mondo emotivo, legato al paese di provenienza di quest’uomo che è l’Italia, che poi si trasferì in Canada, nel 1916. Per cui ritengo che questa sia una bellissima storia, che spero si realizzi presto.
