La Scuola che vorrei: un'insegnante si racconta
“Nella vita tutto ci sembra dovuto, ogni cosa ci appare gratuita e senza il benché minimo impegno. Perché la società, gli uomini e le situazioni modificandosi, hanno generato questo apparato comunitario.”
La protagonista della mia intervista, mi ha salutata con queste parole.
Oggi ho incontrato una professoressa che, sta dedicando lunghi anni della sua vita, al mestiere più chiacchierato, meno compreso e conosciuto.
Nel pieno rispetto alla sua riservatezza, come da lei richiesto, userò un nome fittizio. La chiamerò prof.ssa Sofia.

D. Professoressa Sofia, se lei tornasse indietro, rifarebbe la scelta professionale che ha fatto?
R. Sì e senza il minimo dubbio! Fare l'insegnante non è un lavoro o un mestiere qualunque, è uno stile per plasmare vite e coscienze. Vede, sono 43 anni che svolgo questa missione nel campo scolastico, ho cresciuto bambini, li ho visti crescere, farsi adulti e poi formare le loro famiglie. Un pezzo di cuore lo davo ad ognuno di loro, ogni volta che terminava un ciclo scolastico. Tante vite e ogni volta il magone nel pensarlo bambini, con gli occhioni pieni di gran curiosità, speranza e desiderio di crescere.
Il prossimo anno andrò in pensione e nel mio cuore si susseguono volti, voci, occhi e sorrisi che hanno attraversato la mia vita. Ho cominciato che ero pressoché una ragazzina, allora appena diplomata magistrale. Ho cominciato con le elementari. Rifarei tutto, anche le lunghe camminate, con la forte pioggia, le salite ripide e scoscese e la fitta nebbia che ogni mattina alle 5.00 si svegliava con me, attraversando i piccoli borghi. Pensi, il mio primo incarico, lo ebbi in un lontano borgo nel Casentino. Ero spaurita e alle prime armi, ma allora più che mai si poteva contare sul reciproco aiuto e l'incoraggiamento. Sono stata e sono ancora un'insegnante che ha cercato di portare fuori il meglio da ciascun alunno, soprattutto dai più complessi. Un insegnante e il suo impegno scolastico lo si vede nei ragazzini più bisognosi. È preferibile generare alunni felici e gioiosi, piuttosto che migliori. Rifarei tutto per la dolcezza e l'innocenza degli occhioni di quei bambini… Eccome se lo rifarei!
D. Come vede la Scuola oggi? Pensa sia cambiata nel corso dei tempi?
R. Sono tempi delicati che secondo me, con il modificarsi delle vicende hanno determinato una deviazione di obiettivi e principi.
Il problema della scuola, disse uno psicologo, non sono i bambini e le loro irrequietezze, bensì il fatto che si fanno entrare i genitori dentro le classi. Oggi lo confermo più che mai!
Vede, tutti i cicli scolastici, dovrebbero fornire conoscenze e competenze. Oggi, vede, siamo di fronte a degli analfabeti digitali funzionali. Si scrive poco, si legge altrettanto poco e si pensa ancora meno.
Da quando ho iniziato a fare l'insegnante (avevo 19 anni) parliamo del ’77, la scuola ha subito un tracollo. Le faccio capire, per quanto mi riguarda, trenta/ quarant'anni fa il rapporto Scuola / Famiglia era stretto e sinergico. Se un insegnante dava una nota, per un'insubordinazione o un per un qualche grave motivo, il genitore non se la rifaceva con l'insegnante anzi, in casa dava il resto al proprio figlio. Oggi si vuol far vivere la Scuola ai margini della società, con le famiglie non sussistono più quei rapporti basati su fiducia e sano confronto. I genitori si sentono al centro di un “confronto" come se, i voti, le note o i giudizi li sentissero su di loro, senza prenderli per come realmente sono, ovvero come dei moniti per la crescita dei loro figli a 360 gradi.
D. C'è qualche esperienza di cui vorrebbe parlarci?
R. In questi anni, più che di esperienze avrei un romanzo da narrare. Fare l'insegnante, vede, non è una professione né un mestiere come gli altri è una missione fatta di responsabilità, di gioia e di qualche rospo che devi mandare giù, oggi queste responsabilità sono di gran lunga aumentate. Esiste un impoverimento culturale nella nuova generazione da far tremare i polsi. La memoria storica è “roba da vecchi", oggi è tutto un correre e non si ha un attimo per pensare. Lo si vede anche tra i più piccoli, non sono abituati alla sana noia, devono fare, fare e fare sempre, per poi rimanere più vuoti di prima.
Carenza di valori a fronte di una spaventosa crescita di iperprotezione genitoriale che, infonde insicurezza nei bambini. Alcuni genitori che, per paura trasferiscono i loro timori fallimentari sui propri figli è deleterio. Su tutto questo gli psicologi, ci hanno fatto i quattrini, ultimamente.
D. Circa la didattica a distanza, cosa ne pensa?
R. Come detto sopra, si è generato un grande impoverimento culturale e si vorrebbe determinare un mondo, privo della sua identità e memoria. I bambini e i ragazzi di oggi studiano poco o non studiano tanto, per l'immediatezza di certi canali. Fanno fatica a leggere una frase di un esercizio, fatica a scrivere e copiare. A fronte esistono invece, tutte le risorse multimediali che senza attivare il cervello, rispondono per te.

Sulla Didattica a Distanza dico che, potrebbe avere funzionalità integrativa ma non può assolutamente soppiantare e sopperire a quelle che sono le trasmissibilità didattiche, empatiche, fiduciose, relazionali e di crescita psico-fisica e sociale come può pienamente esercitare, la scuola in presenza. Il contatto umano, il confronto con i propri compagni, le tenere amicizie e i rapporti di mutualità e di ausilio, si sviluppano in contesti naturali dove si sono generati, ovvero nella Scuola, e valgono soprattutto per il primo e in parte per il secondo ciclo d'istruzione. La scuola è calore umano, è confronto e conforto e per me dovrebbe andare oltre le mere competenze ministeriali o di un libro. Arricchire un bambino, un ragazzo è creare in lui la curiosità del sapere, senza limitarlo.
Questa sarebbe la Scuola che vorrei, quella che ho fatto e faccio da 43 anni e che spererei tornasse di moda, perché le cose belle non passano mai di moda!