"Riflessioni sullo studio della voce artistica" di Tommaso Alfaroli
Avevo diciassette anni quando ho iniziato a studiare il “Canto” seriamente: vidi questa donna tutta d’un pezzo, elegante, maestosa come un felino maschio, dalle espressioni colorite e al tempo stesso estremamente preparata. Durante una lezione la osservavo, mentre battibeccava col collega maestro accompagnatore, su quale fosse la giusta chiave di lettura dell’abbellimento, quando esso è parte dell’armonia sottostante e quando esso non lo è. Adesso sono questioni che conosco bene e mi riconosco in lei quando spiego ai miei allievi come si debba leggere un abbellimento. Non posso negare che quell’esatto giorno ho capito che desideravo diventare un insegnante di canto.
Se si dovesse realizzare un resoconto di cosa si studia realmente, durante un percorso accademico musicale, l‟espressione più esaustiva può essere la parola “misura”: ogni musicista, col proprio strumento, controlla sempre la pressione (delle labbra, delle dita, dei polsi...), lo stato d‟animo, la stabilità fisica, l‟altezza delle spalle, l‟umidità (dell‟aria, delle mani, dello strumento, della voce...), tiene sotto controllo dei parametri. Ecco che per parlare di “voce” si deve prima di tutto parlare di misura. Il cantante può formarsi solamente se ha un grande controllo di se stesso e del proprio strumento. La voce è un vettore straordinario del nostro stato d‟animo: quando siamo a telefono, ci basta sentire la voce, il respiro alle volte, per cogliere dell‟amarezza, una difficoltà, una titubanza, una costrizione, un dramma dell‟altro. Lo strumento “voce" si sviluppa con l‟età: non a caso, durante la muta la laringe dei ragazzi triplica le sue dimensioni.
Perché lo studio dell‟arte del canto sia soddisfacente si devono seguire delle regole fisiologiche indispensabili. Il cantante, a dispetto degli strumentisti, studia sullo strumento dall‟interno. Il fiato, che corre alto sopra di noi, sostenuto dai muscoli, permette alle note di salire e scendere nell‟unica direzione corretta: davanti. Il palato, la cavità orale, i seni nasali, la gola e il petto qualificano la voce nelle sue formanti gravi che le danno corpo. Perché tutto l‟apparato fonatorio e la muscolatura annessa collaborino, nello studio della professione del cantante, è necessario prima di tutto idratare lo strumento e dormire. Studiare l‟estetica della voce, il canto, significa avere cura prima di tutto di sé stessi. La respirazione è vita, oltre che per noi stessi, per la salute dell‟apparato fonatorio e per le corde vocali. Si respira sia dal naso che dalla bocca: lo studente deve imparare a vocalizzare incamerando aria con rapide aperture attraverso la bocca e dal naso quando è permesso musicalmente. L‟aria è come un cuscino sul quale si appoggia la voce. Essa impedisce lo sfregamento delle masse cordali mediante il suo corretto utilizzo. È importante perché senza di essa si incorre in un irrigidimento delle strutture intrinseche ed estrinseche delle corde vocali.

Ciò causa irritazione del body-cover (o superficie cordale) che genera un‟ispessimento o addirittura un edema a livello cordale ed infine noduli. Solitamente dalla formazione del primo nodulo se ne forma un altro quasi speculare, per via dello sfregamento delle corde durante l‟emissione del parlato (fenomeno detto kissing). Quando c‟è irritazione si tende a parlare con una posizione del suono più bassa aggravando ulteriormente la situazione. Spesso si sentono insegnanti di canto usare l‟espressione “appoggia meglio!”. Cosa significa davvero? Esso è un gergo dei maestri di canto che sottende il sostegno al posto dell‟appoggio.
L‟appoggio non è altro che la prima fase del sostegno: è un momento di rilassamento fisico dove il suono si siede sul cuscino del fiato.
In questo momento si ha una distensione dei muscoli addominali che si tendono in fase di espirazione e dunque di fonazione. Qui intervengono i muscoli in maniera plastica (gli addominali bassi) e anche in maniera tonica, in particolare i muscoli dorsali e laterali. In musica c‟è sempre un‟arsi e una tesi, un elemento distensivo e uno tensivo, un po‟ come il respiro in un certo senso. Parlare di emissione significa interrogarsi sulle sonorità possibili emesse dallo strumento voce: secondo i castrati, che erano i maestri cantori per eccellenza, la voce si genera dalla vocale „u‟. Da essa si formano tutte le altre vocali col solo ausilio dell‟apertura dellelabbra, che nel canto colto sono sempre raccolte. L‟emissione può essere media, costretta o ritratta. Media: quando il suono e il fiato corrono insieme, (es. qualità di voce dello speech). Costretta: quando la muscolatura intrinseca si oppone troppo rispetto alla pressione che fa il fiato sul body-cover. (Qualità usata spesso nella musica Rock/Metal). Ritratta: quando lo spazio e il fiato concorrono ad ottenere lo stesso volume che si otterrebbe con un suono medio senza stressare minimamente il body-cover, (es. il suono nello sbadiglio). Spesso tanti studenti si ritrovano a vocalizzare quotidianamente senza avere un‟idea concreta dello studio del vocalizzo: qual è lo scopo? Perché vocalizzare? Quanto? Che differenza fa studiare un arpeggio o delle note congiunte? Spesso si sente dire “Gli esercizi rapidi non giovano alla mia voce perché io sono un cantante lirico drammatico, spinto, eroico...”. Tante perplessità e inesattezze. La voce si studia allo stesso modo qualunque voce si abbia in dotazione. I principi fisiologici sono sempre gli stessi. Ciò che cambia può essere il colore, la pastosità, la portanza (o punta o penetranza). Quest‟ultima la si sviluppa sfruttando l’occlusione dello sfintere ariepiglottico (la voce di paperino), il twang nasale, alzando la cricoide, col Cry, e spostando verso l‟esterno le labbra. Lo studio della voce fonda la sua base sull‟altezza del fiato e la verticalità elastica della bocca.
Il mento tende ad andare indietro in corrispondenza dei muscoli addominali bassi, che sostengono il suono durante l‟espirazione, come se mento e pancia fossero la stessa cosa. L‟apertura della bocca durante la fonazione deve essere la medesima, non deve muoversi. Si immagini una chitarra la cui cassa armonica durante la produzione di suono si muove. Cosa succederebbe? Si modificherebbe la qualità del suono stesso. Ecco che la bocca deve creare uno spazio precedente all‟emissione, così da permettere al suono di muoversi liberamente in esso. Il vocalizzo serve ad elasticizzare (stretching) i muscoli intrinseci e dell‟apparato respiratorio così da supportare meglio il peso del suono durante il canto. Esso serve anche a preparare lo spazio dello strumento voce (posizione). Il vocalizzo, infine, serve a sviluppare anche la tenuta.
Stretching: principalmente permette l‟apprendimento dell‟inspirazione rapida, tipico dello studio delle coloriture o fioriture. Posizione: vocalizzi discendenti di grado congiunto permettono l‟apertura della 'cassa armonica' dove risuona la voce. Tenuta: vocalizzi lenti, con fiati profondi, rafforzano la muscolatura che si attiva durante la fase di sostegno.
“Il canto è un alito che si colora" Le corde vocali si presentano naturalmente con caratteristiche fisiche oggettivamente determinanti nello studio del canto. Ciò che permette una duttilità del proprio strumento è l‟intelligenza del cantante stesso e il tipo di esercizi che predilige. Questi ultimi determineranno anche il repertorio da doversi affrontare (mozartiano, rossiniano, wagneriano ecc.). É necessario studiare la voce sia con esercizi lenti (che rafforzino la tenuta vocale, la posizione del suono e lo spazio nel quale si espande), che rapidi (da allungare il più possibile la colonna d‟aria su cui poggia la voce). La tessitura è quell‟area di note circoscritta dove la voce suona con più facilità. L‟estensione può variare sia con l‟esercizio che con l‟età. Ciò che la determina è la facilità con cui il suono corre sul fiato. L‟agilità è la rapidità con cui si raggiunge un suono. Generalmente si raccomanda di non cercare un suono troppo proiettato durante le volatine. Questo consente alla voce di viaggiare verso uno spazio verticale più che orizzontale. La laringe ha tre funzioni di base: respiratoria, fonatoria e sfinterica (di protezione delle vie aeree inferiori). Qui ci soffermiamo su quella fonatoria: La laringe è come un vettore che tende verso l‟area di risonanza (di testa) e consonanza (di petto). Il suono si propaga nello spazio. Esso va alla ricerca di un‟area dove è possibile muoversi liberamente mediante una sorta di ascensore (la laringe). Immaginiamoci adesso che il petto sia un piano sottoterra (-1), l‟altezza della bocca piano terra (0), la testa primo piano (1). La laringe è un ascensore che avvicina la voce, il nostro referente, al piano sottoterra; qui si parla di consonanza di petto. La si raggiunge con morbidezza e molto lentamente. Il suono si deve schiarire verso il basso perché risuoni davanti nella parte alta del petto. Nel centro la voce si deve “raccogliere”.
Qui ci vengono in aiuto le labbra che fungono da barriera perché il suono non si sporga troppo. Così facendo gli sarebbe difficile risalire, si incorre in quello che è noto come “spingere”. Il suono a piano terra, per mantenere la metafora, deve essere centralizzato/verticalizzato per salire e scendere facilmente, il centro acuto deve essere alleggerito. Il passaggio non è altro che il momento in cui la voce si trova a dover passare da un piano all‟altro. Alcuni accorgimenti possono essere quelli di alleggerire la voce, raccogliere il suono, pensare ad una „U‟ durante la vocalizzazione. La bocca nel centro deve essere obbligatoriamente raccolta soprattutto in fase di studio, così da poter sentire/avvertire l‟area di risonanza di testa. Nel centralizzare la voce, in un certo senso, si inganna la laringe per permetterle di fare un salto più alto (es. intervallo di quinta pensato come un intervallo di terza). Un altro modo assai diffuso per la risoluzione del passaggio è vocalizzare passando da una posizione eretta portando la testa in giù durante l‟emissione delle note acute. (In un certo senso se Maometto non va alla montagna, lo si lascia cadere dall‟alto su di essa). Si deve tener conto della elasticità e rilassatezza muscolare, sempre. Qualsiasi rigidità renderà difficile l‟emissione delle note di passaggio.
Spesso nel gergo dei cantanti di musica leggera sentiamo dire “questo lo canto in M1/M2?”: cosa significa precisamente? Quando si parla si emette un suono in M1: viene fatta vibrare tutta la corda vocale, il suono qui ha un certo peso.
Immaginiamoci di cantare a voce piena una scala in glissando. Ad un certo punto non ce la faremo più a cantare con quella pressione, così la voce si spezza. Essa dunque necessita qui di essere alleggerita, qui il suono risulta più attenuato, spesso facilitato da una quantità maggiore di aria (suono aspirato). Cantare alleggerendo la voce significa usare solo una parte del body cover di cui è composta la corda vocale, in questo caso si usa il termine M2. La voce del soprano si sviluppa principalmente nella risonanza: dunque è un suono di testa per cui le corde vocali si assottigliano (M2) e la qualità del suono risulta più ambrata e rotonda, tipica del suono lirico. La vocale per eccellenza che introduce gli allievi al suono di testa è la „U‟, (es. vocalizzare con una scala ascendente discendente di quinta passando da una „O‟ ad una „U‟ nelle note acute). Storicamente la suddivisione delle voci era composta da soprano, alto, tenore e basso. Con lo studio profondo della voce, che ha raggiunto il suo apice solo nell‟Ottocento (con le opere di Rossini, Donizetti, Verdi ecc.), si è dovuto fare delle classificazioni intermedie della voce sia per quelle maschili che quelle femminili, rispettivamente il mezzo-soprano e il baritono. Queste voci a loro volta hanno delle distinzioni a seconda della duttilità, agilità e tessitura. Il termine voce lirica indica principalmente una voce che è solita interpretare materiale d‟opera. Questa voce lirica può essere: Leggera se raggiunge facilmente i suoni (da non confondersi con chiara, può essere anche più ambrata ed essere duttile allo stesso modo); Di coloratura se musicalmente è capace di fare fioriture o colorature durante l‟interpretazione di materiale che ha nella sua stessa prassi esecutiva una parte di virtuosismo del cantante stesso (Es. Astrifiammante); La voce da lirico puro è una voce che canta un repertorio vasto ( Adina, Lucia di Lammermoor, Gilda, Violetta, Susanna).
La voce da lirico pieno, spinto, eroico determina una pastosità della voce, un corpo che si qualifica nella tenuta e non nell‟altezza. (Un esempio può essere la Jessye Norman). Storicamente anche i ruoli femminili erano rappresentati da uomini. La voce che caratterizza il contro-tenore e il contraltista, è una voce che mantiene la virilità nel colore brunito di un suono emesso in corda sottile (come canta la voce di soprano): il falsettone rinforzato. Questa qualità di suono non è usata solo da interpreti che si inseriscono nel repertorio rinascimentale o barocco ma anche da coloro che interpretano ruoli en travesti. La distinzione tra sopranista, contro-tenore e contraltista non è altro che un sottogruppo della vocalità al maschile, che ne distingue la tessitura e l‟estensione. Il sopranista sarà dunque la voce più acuta nell‟uomo. Il contro-tenore è la voce di mezzo, il contraltista è il corrispettivo del contralto nelle donne. Nel canto moderno l‟espressione falsetto determina un effetto, non una qualità vocale.
Esso è un suono in corda sottile, aspirato. Si immagini di voler cantare dei suoni alti senza fare troppo rumore. L‟effetto che esce è quello del falsetto.
Scrivere sul Canto è molto difficile ma mi sono posto un obiettivo: affinché tutti possano comprenderne il linguaggio, è necessario che io usi metafore che non riguardino il canto in senso stretto, come ho cercato di fare in queste mie riflessioni.
M° Tommaso Alfaroli
