Simone Consegnati: “Il disagio che sta vivendo la scuola è profondo ma non solo per il Covid-19"
Intervista al Prof. Simone Consegnati, formatore nazionale sul "Service Learning" e docente di laboratorio sul "Service Learning" all'università LUMSA di Roma.
Con il Prof. Consegnati, abbiamo affrontato il difficile momento che sta attraversando il mondo della scuola (non solo a causa dell’attuale pandemia), del “Life Long Learning” anche se, in tempi piu’ recenti, si sta parlando del “Lifelarge Learning”, ovvero di apprendimenti e percorsi di formazione di tipo trasversale, pratico, concreto e cooperativo quali volontariato, associazionismo, attività extracurricolari che hanno l'obiettivo formare la persona, oltre che il professionista.

INTERVISTA AL PROF. SIMONE CONSEGNATI
Prof. Consegnati, La ringrazio infinitamente per la Sua disponibilità. Come possiamo tradurre, in poche parole, il disagio che sta attualmente vivendo la scuola? Come ne usciremo?
Il disagio che sta vivendo la scuola è profondo e solo in parte legato all'emergenza Covid-19. Le difficoltà sono molteplici: in Italia abbiamo una classe dirigente con un'età media molto alta, che in parte è resistente a processi di formazione e che fatica ad entrare nella logica delle Indicazioni Nazionali per il curricolo per la scuola dell'infanzia e del primo ciclo. In questo documento, che non si riferisce ai docenti delle scuole superiori in quanto loro hanno indicazioni specifiche, si specifica chiaramente che il compito della scuola non è quello di trasferire concetti e nozioni standardizzate, ma di immaginare percorsi formativi in base alle esigenze, tutte le esigenze, dell'alunno concreto che abbiamo davanti. Invece, nonostante questo documento sia stato emanato nella sua versione definitiva nel 2012, sentiamo addirittura docenti della scuola primaria parlare di programma, di contenuti uniformanti, di "restare indietro", come se la scuola fosse una corsa uniformanti con tappe uguali per tutti.
In una situazione del genere dobbiamo anche ricordare che la scuola pubblica è stata nell'ultimo decennio privata di molte risorse, ridotta all'osso, in molti casi senza una vera e propria logica. Classi numerose, edifici vetusti, difficoltà nella formazione: con questi ingredienti è difficile preparare un piatto gustoso. Nonostante questa situazione è possibile comunque uscirne, a patto però che ci siano interventi su tutti i livelli: in primis, in ambito politico, con un adeguamento economico della classe docente e un impulso forte, come precisa la L.107/2015 alla formazione continua. Serve anche un adeguamento delle strutture, non è ammissibile avere scuole vecchie di 100 anni. Successivamente serve un impegno culturale forte: è necessario fare chiarezza sul ruolo della scuola e del docente. Per ultimo, un impegno sulla dimensione pratica; aule più capienti, numero di alunni minore, condivisione di metodologie e approcci alternativi alla lezione frontale. Solo con un impegno a 360 gradi sarà possibile trasformare questo tempo di crisi in occasione di crescita.
La scelta di far continuare la didattica in presenza per infanzia, primaria e prima media, La trova una scelta condivisibile?
Credo di sì, almeno per quanto riguarda i bambini della scuola dell'infanzia e primaria. Questo, principalmente, per due motivi. La didattica a distanza può funzionare, ma per farla bene è necessario avere conoscenze (di metodi, strumenti e logiche) che dovevano essere sviluppati prima dell'emergenza. Come sostiene il maestro Franco Lorenzoni, un conto è la didattica a distanza, un altro è la didattica dell'emergenza. Possiamo formarci alla didattica a distanza, dobbiamo sopravvivere a quella dell'emergenza. Nella scuola dell'infanzia e primaria manca in molti casi, anche se ci sono rare eccezioni virtuose, una "know how" specifico legato alla DAD. Inoltre, la tenera et dei bambini richiede una presenza costante dei genitori e questo non sempre è possibile. Il rischio è che, soprattutto per i più piccoli, la DAD diventi discriminatoria, come un ospedale che cura i sani e respinge i malati, prendendo in prestito l'espressione di Don Milani. Io auspico una scuola in sicurezza e, dove possibile, in presenza per tutti. Mi sembra assurdo che le scuole siano state chiuse per non affollare i trasporti. Invece di intervenire su di essi si è scelto di chiudere la scuola. In questi mesi mi sembra che si sia perso molto tempo a parlare di banchi con rotelle e si è persa l'occasione per un vero cambio di prospettiva. Abbiamo però anche realtà virtuose. Mi viene in mente l'esperienza di scuola diffusa di Reggio Emilia (https://www.comune.re.it/retecivica/urp/retecivi.nsf/DocumentID/7FB38E70301EBBB8C12585DF004767C6?Opendocument)
In questa realtà la scuola è uscita dall'istituto scolastico e musei, fabbriche, uffici, pachi sono diventati ambienti scolastici. Ecco, esperienze come queste ci mostrano che una visione diversa della scuola è possibile, bisogna solo voler cambiare veramente paradigma ed uscire da una logica gentiliana che purtroppo permea ancora il nostro sistema scolastico.

Parliamo del "Lifelong Learning": crede che sia un obiettivo fattibile per i docenti?
Certamente, credo che l'apprendimento durante l'intero arco della vita sia non solo un dovere professionale, ma un vero e proprio bisogno per chi nella vita insegna, a prescindere dall'ordine e grado scolastico. L'UNESCO ha introdotto il concetto di Lifelong Learning nel 1994 ed è incredibile che ancora dobbiamo discuterne, soprattutto se questo riguarda i docenti. Oggi sappiamo che bisogna anche andare oltre a questa idea del Lifelong Learning; sempre più spesso si parla di "Lifelarge Learning" cioè di apprendimenti e percorsi di formazione di tipo trasversale, pratico, concreto e cooperativo quali volontariato, associazionismo, attività extracurricolari che hanno l'obiettivo formare la persona, oltre che il professionista.
In questo panorama è necessario che i docenti possano avere la possibilità di formarsi a 360 gradi, perchè essere docenti in una società del cambiamento significa avere gli strumenti per rispondere ad un contesto complesso e in continuo cambiamento.
"Il Service Learning" e' un approccio pedagogico che si sta sviluppando molto in Italia. Ricordo l'esempio del teatro medievale all'interno di una scuola di Firenze. Smuovendo le persone, le autorita' (ad esempio il sindaco) si interviene sulla ristrutturazione e la rinascita di questo bene abbandonato. Nell'atto pratico, nella vita di tutti i giorni, come puo' un insegnante applicarlo?
Il Service Learning è una proposta che ha avuto un rapido sviluppo nella scuola italiana, soprattutto grazie all'infaticabile lavoro del Prof. Italo Fiorin. La sua diffusione credo sia dovuta principalmente a due fattori. Il Ministero ha realizzato ben due documenti ufficiai nei quali si presenta come approccio pedagogico. "Una via italiana al Service Learning" https://www.miur.gov.it/web/guest/-/una-via-italiana-per-il-service-learning e le linee guida per i PCTO https://www.miur.gov.it/documents/20182/1306025/Linee+guida+PCTO+con+allegati.pdf nelle quali è esplicitamente citato. Ma i documenti ministeriali non bastano per una reale diffusione di una certa logica pedagogica.
Serve, e questo c'è stato e tutt'ora è presente, un impegno corale e diffuso di decine e decine di docenti impegnate e appassionate che stanno scoprendo giorno dopo giorno quanto questo approccio pedagogico possa essere di grande interesse per la scuola e per la società.
Nella pratica didattica quotidiana un insegnante può applicare il Service Learning seguendo la logica dello sviluppo di competenze, partendo dal creare le conseguenze per l'individuazione di un problema reale da parte degli alunni. Successivamente gli alunni sono portati ad intervenire su questi problemi, attraversi processi di apprendimento e servizio.
Il Service Learning è una proposta altamente inclusiva e che permetto lo sviluppo di competenze sociali e disciplinari. Recentemente è stato pubblicato un libro interessante, a cura dell'Indire, "Il Service Learning per l'innovazione didattica", nel quale diversi esperti presentano questo approccio da diverse prospettive.
